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Conosciamo i cinque Beati Martiri “propagandisti”, vittime della persecuzione comunista in Albania…

Conosciamo i cinque Beati Martiri “propagandisti”, vittime della persecuzione comunista in Albania…

Dal 1944 al 1991 l’Albania attraversò certamente il periodo più buio della sua storia fino ad oggi. Terra evangelizzata da S. Paolo come testimonia la Lettera ai Romani (15,19), nel XV secolo venne occupata dall’Impero ottomano per oltre cinquecento anni e, infine, soggetta alla dittatura comunista più feroce di tutta l’Europa dell’est, come la definirono molti storici. Il potere del colonnello Enver Hoxha crebbe sempre di più fino ad impiantare un regime dittatoriale di stampo marxista-leninista, unico nel suo genere. La religione venne dichiarata il nemico più grande, in quanto pura invenzione umana che distoglieva gli albanesi dalla fedeltà ai valori della Patria e del Partito e provocava l’ingerenza di altri Stati nemici e delle loro pericolose idee. In questo clima di odio e di violenza, tutte le comunità religiose del Paese vennero prese di mira e, soprattutto, la Chiesa cattolica che poteva vantarsi della sua unità e della sua fedeltà con Roma e di rappresentare la “classe pensante” del Paese sia per la preparazione intellettuale del clero che dei laici, formati alla scuola dei francescani e dei gesuiti. Nel 1945 iniziò, così, una violenta persecuzione contro tutti i credenti che si inasprì ulteriormente nel 1967 con la proclamazione dell’ateismo di Stato, il primo al mondo per Costituzione. Tutti i luoghi di culto vennero distrutti o camuffati e usati per altro, mentre il clero e i fedeli più esposti che non vollero rinnegare la loro fede e si dichiararono contrari all’ideologia comunista furono destinati ai lavori forzati o torturati e uccisi brutalmente.

I martiri in odium fidei del periodo comunista sono tanti, ma 38 di questi sono stati beatificati il 5 novembre 2016 da Papa Francesco e, tra loro, cinque sono ex-alunni del nostro Collegio Urbano. I beati Dedë Maçaj, Anton Muzaj, Pjetër Çuni, Dedë Malaj ed Ejëll Deda, per volere dei loro Vescovi, furono mandati nel Seminario di Propaganda fide per la loro formazione in vista del sacerdozio e alcuni di loro furono anche ordinati presbiteri nella nostra Cappella Maggiore. Conosciamo, una alla volta, le loro vite e le loro storie di martirio, per godere anche noi, “propagandisti” come loro, della loro fraterna intercessione e imparare il coraggio della fedeltà al Vangelo e alla Chiesa. 


Beato Dedë Maçaj (alunno dal 1938 al 1944)

«Nasce il 5 febbraio 1920 a Vermosh. Sguardo sereno e accattivante, corretto e gentile, generoso di cuore e di azione, tutto dedito a Dio e al servizio pastorale. Personalità forte, decisa, sapeva ascoltare gli altri. Ordinato sacerdote a Roma il 19 marzo 1944 [nella Cappella Maggiore del Pontificio Collegio Urbano]. Non volle rimanere in Italia, nonostante fosse stato avvisato di non rientrare in Albania. Voleva donarsi come Cristo dando la sua vita per il proprio popolo. Devozione filiale alla Madonna. Recitava ed insegnava questa preghiera: “O Madonna, abbi pietà. Prega per me nel momento della morte e custodisci il mio corpo e la mia anima nella vita fino all’eternità”. Era gracile di salute e fu reclutato per il servizio militare. Fu arrestato di notte il 10 marzo 1947, accusato di atti di sabotaggio contro il potere, spia del Vaticano. A suo fratello che lo invitava a rinnegare la fede disse: “Finché vivo sulla terra non rinnegherò mai la fede”. Dopo indicibili torture lo condussero all’aperto sotto un freddo rigido. Fu torturato come Cristo per fargli ammettere parole non dette e fatti non compiuti e, come Cristo, serenamente e dignitosamente, resistette alle ingiurie e alle sofferenze. I comandanti avevano sparso tra i soldati alcuni del partito per gridare “Proiettili in fronte”, così potevano dire che era stata la truppa a chiedere la sua morte, come Pilato che si lavò le mani chiedendo al popolo. Dedë accolse la condanna molto serenamente, tacque e si mantenne calmo. Senza un processo fu condotto al patibolo. Gli tolsero la giacca, come Gesù sul Golgota, perché non si sporcasse di sangue e potesse prenderla un altro soldato; lo fecero mettere di schiena e questo significava che anche la sua famiglia da quel momento entrava nell’occhio del ciclone. Si inginocchiò e disse le sue preghiere. Ultime parole: “Davanti al Signore, alla cui presenza sto per comparire, e davanti a voi, carissimi soldati, io dichiaro che mi uccidete per nessun motivo, ma solo per odio contro la chiesa cattolica. Affermo questo, senza odio contro coloro che mi fucileranno. Viva Cristo Re, viva il Papa. Viva l’Albania. Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Per quattro volte la scarica dei sei soldati non lo colpì, era un modo crudele di torturarlo. Fu visto alzarsi da terra di un metro, poi fu colpito e disse: “Madonna nelle tue mani…” e morì calpestato dai soldati. Aveva 27 anni e tre di sacerdozio. Era il 28 marzo 1947, Venerdì Santo».
(da La vittoria della fede. Breve biografia dei 38 Martiri d’Albania del Ventesimo Secolo, Arcidiocesi di Scutari-Pult, Albania, 2019, pp. 17-18).

continua…

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